Una sorprendente, imprevista, avventura internazionale per la nostra Villa!

L’esperienza bassanese sta risvegliando sempre più curiosità nel mondo del recupero dei beni culturali, al punto che a novembre 2018 sono stato ammesso alla Scuola Internazionale di Dottorato dell’Universidad de Castilla La Mancha (UCLM), in Spagna (corso in Discipline Umanistiche, Arte ed Educazione – Facoltà di Lettere), proprio con un progetto di ricerca che cercasse di modellizzare e riprodurre nell’ambito euro-mediterraneo quanto si sta realizzando in Villa Angaran San Giuseppe. Ma se tra noi (italiani) e gli spagnoli ci sono molti punti in comune (siamo entrambi nel podio dei paesi col maggior numero di siti UNESCO al mondo), ben più sorprendente è stata la richiesta della Charles Correa Foundation (CCF), in India, di presentare ai loro Fellows e Followers il progetto di Etica ed Estetica che Rete Pictor porta avanti ormai da 4 anni.

Approfondiamo un po’.
Charles Correa (1930-2015) è stato uno dei più grandi progettisti del XX secolo e il maestro dell’architettura  contemporanea indiana. Visiting professor ad Harvard, all’MIT, alla Columbia University e vincitore del premio RIBA nel 1984 e dell’Aga Khan nel 1998, il suo lavoro ha spaziato dall’architettura privata ai grandi piani urbanistici e di sviluppo comunitario. Correa ha sempre dedicato una grande attenzione ai bisogni delle povertà urbane e all’uso dei sistemi e dei materiali tradizionali.

Con Charles Correa, la moglie Monika e il prof. Edoardo Narne, Padova, 2014.

Nata nel 2011 per volere dello stesso architetto, la Charles Correa Foundation, è un catalizzatore di progetti architettonici, urbani, di pianificazione e sviluppo comunitario, finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita degli insediamenti umani in India.

Il mandato della Foundation è identificare idee con potenziale e processarle in progetti tangibili da proporre nel contesto locale al fine di creare un impatto positivo nella sfera pubblica indiana. Il lavoro sviluppato dalla CFF è senza fine di lucro, il coordinamento è gestito da un gruppo di fiduciari (7 trustees) e il gruppo operativo è continuamente ricostituito, composto da 3-4 giovani architetti che svolgono la loro fellowship per non più di 1 anno.

In occasione del mio secondo viaggio in India, sono passato a salutare molti amici architetti indiani, tra cui Arminio Ribeiro, che, alla luce del mio nuovo corso di studi e avendo letto il libro sulla storia della Villa, mi ha proposto di tenere una Talk aperta a tutti, per dialogare con sguardi multiculturali rispetto al tema del recupero del patrimonio storico, a partire dall’esperienza di Villa Angaran San Giuseppe. L’incontro, organizzato e promosso in mezza giornata (efficienza indiana!), ha visto la partecipazione una quindicina di architetti e progettisti locali, e ha spaziato dalle soluzioni architettoniche adottate, al restauro filologico di ambienti e giardino, fino alla struttura delle differenti attività che oggi trovano casa in Villa. Dopo una quarantina di minuti di presentazione, altrettanto spazio è stato dedicato alle domande dei presenti che, molto incuriositi, mi hanno interrogato sul coinvolgimento della città nel processo intrapreso, sulla legislazione italiana e sull’iter autorizzativo seguito per realizzare il nostro masterpiece.

Può sembrare strano che in un paese come l’India, con situazioni urbane per noi inumane (si pensi alla densità abitativa della baraccopoli di Dharavi a Mumbai, o alla montagna di rifiuti dello slum di Taimur Nagar a Delhi) ci si interessi di recupero di beni culturali e progetti di etica ed estetica. In realtà uno degli scopi della CCF (che risiede nello stato di Goa, dove l’educazione scolastica è una delle più alte dell’India) è proprio quello di arrivare alle situazioni urbane più deboli e insane, e qualunque progetto virtuoso (nel panorama mondiale) che segua questa mission viene analizzato e approfondito. D’altro canto, tra il 2012 e il 2014, la CCF si è preoccupata di catalogare oltre 900 edifici di rilevanza storico-culturale dell’area di Panjim (la capitale), e di analizzare come le attività che oggi vi si sono insediate rispettino, valorizzino o compromettano il manufatto antico.

L’incontro è stato un forte stimolo per continuare a perfezionare, e raccontare, la visione generativa che abbiamo in Villa, sperando che il coinvolgimento di sempre più attori provenienti da campi (e paesi) diversi, porti ad una condivisione ancora più completa del messaggio di inclusione sociale e di sviluppo di comunità di cui questo mondo ha decisamente bisogno. D’altronde, come ci ricorda Settis in –guarda caso– Architettura e Democrazia, “non c’è bellezza senza responsabilità e senza storia.”

Tommaso