Ciao a tutti,

ieri sera ho finalmente sentito una posizione convincente e sensata sul tema dell’immigrazione. Mi è successo perchè ho vinto la stanchezza e ho deciso di guidare fino a Conegliano per partecipare all’incontro “Tra polis e civitas“, uno dei tanti a cui mi ero ripromessa di andare tra quelli in programma nel Festival Biblico 2019.

Ho anche scoperto quant’è bella la strada che porta da Bassano fino a Conegliano, passando per Pove, Possagno e Valdobbiadene. Quando sono giunta in sala ero pronta a lasciarmi stupire. E così è stato. Durante il dialogo tra il filosofo Umberto Curi e Alessandro Tonon de La Chiave di Sophia mi è sembrato un po’ di tornare dietro ai banchi di scuola, quando la prof di greco ci parlava della polis.

Ciò che Curi ha rispolverato è l’antico concetto di xenos e di hostis, che dal IX secolo a.C. fino al II secolo d.C. è stato ben diverso da quello che applichiamo oggi quando ci troviamo di fronte a uno straniero.

All’epoca dei greci si usava una sola parola per dire ospite e straniero: xenos, appunto. Binomio che resta valido per i latini, che usano invece la parola hostis, derivante dal verbo compensare. Proprio come si fa ancora in alcuni paesini italiani, quando arrivava uno straniero in città, era il padrone di casa a fare un regalo allo straniero e non viceversa. Ci pensate? Vi ospitano per cena, e in più vi fanno anche un regalo!

Sia i greci che i romani avevano capito che l’arrivo di uno straniero è un dono che va ricambiato, perchè permette un incontro con l’alterità e con la diversità, che è vitale. Nel mondo antico l’ospitalità dello straniero era un dovere morale e sacro.

Vi devo confessare che mi sono commossa, mentre Curi raccontava il mito di Filemone e Bauci, che testimonia la scaralità dello xenos al tempo dei greci e che viene narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. L’ho studiato anche a scuola, ma per qualche oscura ragione lo devo aver seppellito sotto i libri di Economia e gli anni di lavoro. Risentirlo mi ha fatto capire che l’immigrazione ha una risposta sola: rispetto degli altri.

Bando alle romanticherie, Filemone e Bauci sono una coppia di anziani coniugi Frigi. I due vivono in povertà , godendo della reciproca compagnia e della compagnia di una grossa oca, la loro unica ricchezza. Un giorno Zeus ed Ermes, travestiti da comuni mortali, giungono in città per fare quello che oggi chiameremmo un piccolo test: gli uomini rispettano o no il dovere di ospitalità verso lo straniero? La prova è empirica. Zeus ed Ermes bussano a tutte le case della città, senza che nessuno gli apra la porta. Ormai quasi decisi a tornare sull’Olimpo, arrivano alla casupola di Filemone e Bauci.

Filemone e Bauci sono così in armonia che si capiscono con una sola occhiata. Lui accoglie felice gli ospiti alla porta, mentre lei comincia a preparare la tavola per aggiungere due posti al loro umile desco. Purtroppo, sempre con un’occhiata d’intesa, Bauci fa notare a Filemone che c’è ben poco da offrire agli ospiti per cena. Il momento è giunto: Filemone e Bauci decidono di sacrificare l’oca in onore dei loro ospiti stranieri. Bauci tenta di rincorrere l’oca, ma data l’età non riesce proprio a catturarla. Zeus ed Ermes, toccati da tanto amore e da una tale dimostrazione di rispetto per lo straniero, si mostrano nella loro vera natura divina. 

Offrono ai due anziani coniugi la possibilità di esprimere un desiderio. L’ultima occhiata tra i due, e il desiderio è presto espresso. Non oro, case, beni materiali, ma la possibilità di morire nel medesimo istante, per non dover soffrire la mancanza l’uno dell’altro. Ed è così che Filemone e Bauci muoiono assieme, per diventare due alberi uniti nelle radici e nel tronco.

In sala siamo ammutoliti dalla forza del mito. Curi ne approfitta per sottolineare che il rispetto delle diversità è uno dei principi cardine su cui si basano la polis e la civitas. La polis, ci racconta Platone, è ben più di un agglomerato di case: la città-stato esiste solo quando tra le persone intercorrono relazioni di aidos e dike, cioè rispetto reciproco e giustizia. E, dall’altro lato, la civitas latina è basata su un fine che accomuna tutti cittadini, la concordia.

A pensarci bene, alcune delle nostre città non hanno più molto della polis o della civitas. Sono più che altro case vicine l’una all’altra, in cui di relazioni, rispetto, concordia e scambio è rimasto ben poco. La vitalità della diversità si è persa.

Ma possiamo ancora farci qualcosa, e la proposta di Curi è di riportare la discussione su un livello più elevato, in cui ogni posizione è informata e ponderata. Su questo, gli antichi possono darci una bella mano. Ovvio, anche nella cultura dei greci e dei romani c’erano i nemici contro cui guerreggiare, ma il concetto illuminato di accoglienza elaborato dai filosofi antichi è una via d’uscita importante per la nostra società moderna.

Veniamo da secoli e secoli di cultura dell’accoglienza, da un humus filosofico che ci siamo scrollati di dosso. Allora ripensiamoci, sfruttando le radici antiche che portiamo dentro di noi. Quale modello scegliamo per la nostra città futura?

Alia