Giovedì 27.09.2018 – In ricordo di Paolino Zilio, amico della Villa.

“Me domandè tute ste robe parchè voè farme fora”! Questa una delle prime frasi, caro Paolino, che ricordiamo di te. Quattro anni fa, quando sbarcammo inconsapevoli e spaventati in questa Villa, uno dei primi e principali aiutanti e abitanti che abbiamo incontrato sei stato tu. Per far funzionare la caldaia… chiama Paolino. Se un tubo perdeva… chiama Paolino. Se c’era da tagliare l’erba, potar la siepe, far partire il trattore… chiama Paolino. Sembrava davvero che l’avessi costruita tu, questa villa. Che ogni segreto che nascondeva lo custodissi tu, Paolino. E tu i segreti li sapevi custodire proprio bene. Le cose che amavi te le tenevi ben strette.

Ma non per questo ce le hai nascoste. Semplicemente volevi essere sicuro che chi le riceveva avesse la stessa passione, dedizione, amore che tu avevi mostrato per decenni, per una vita.

Ci siamo tanto lamentati con te e di te, abbiamo urlato e sacramentato, maledetto la tua testardaggine e combattuto le tue lune: ci hai portato spesso nel tuo terreno, quello del rispetto maschio, del conflitto aperto e del “vedemo se te si bon”.

Eppure la tua disponibilità è sempre stata disarmante. La cosa che ancora ci sorprende, che ancora fatichiamo a capire, è il fatto che non ci hai lasciati soli un secondo. Non sapremo mai se è stato lo spirito del padre di famiglia, l’amore per questo posto, la curiosità per il nostro mondo così diverso o addirittura la compassione verso noi, giovincelli incompetenti che mettevano le scarpe dei contadini, le camicie degli imprenditori, i cappelli dei custodi (tre cose che tu conoscevi molto bene).

Sappiamo però, che ci hai dato una grande fiducia. Hai voluto esserci sempre. Per controllarci e spronarci. Per insegnarci e raddrizzarci. E anche quando te ne andavi urlando “mi co voialtri go chiuso” alla fine ricomparivi, seduto sul tuo tagliaerba verde o con un decespugliatore in mano. E, peggio ancora, quando la malattia ti strappava brandelli di corpo, capelli, muscoli, energie, e noi non trovavamo nemmeno la forza di chiederti cosa avresti fatto con la villa, tu ricomparivi sfinito nel volto ma strabordante di progetti nella testa. D’altronde, ci rassicurava malinconicamente consapevole la Giova, se viene in villa è perché in questo modo riesce ancora a sentirsi bene.

Tra le tante cose che ci hai lasciato, ricordiamo con vero affetto e gratitudine il tuo vedere il lavoro nei campi come un momento di festa. La tua gioia nell’aprire la tua casa a bambini, amici, studenti, noi, in occasione di ogni importante avvenimento agreste. L’importanza della cena per i volontari, del “magnar asieme un bocon”, del saper trascinare venti, cinquanta, cento persone a spignatare, vendemare, desgrafoiare.

Per questo da oggi ti vogliamo ricordare con una pianta, un Osmanthus Fragrans, una delle più antiche e radicate presenti in Villa. Un albero profumato, che si trova tanto vicino alla porta della Villa, quanto al centro del grande parco che gestivamo assieme. E la sua chioma rigogliosa, sempreverde, fa da ombra proprio ai tavoli della trattoria, dove tante volte abbiamo brindato e mangiato insieme e dove per tanti anni ancora bambini, famiglie e anziani, potranno vivere bei momenti di festa.

D’altronde, proprio sotto questa pianta, ci siamo visti assieme l’ultima volta. Ci hai salutati a modo tuo, senza lasciare nulla al caso. Pochi giorni prima di morire hai voluto incontrarci. Al telefono dicevi che dovevi parlarci, che dovevamo esserci tutti, che tu non sapevi quanto riuscivi a tirare avanti e che dovevamo fare dei passaggi importanti. Eravamo tutti preoccupati, ma quando sei arrivato e ti sei seduto all’ombra dell’Osmanthus dove facevamo le nostre riunioni, con la tua consueta e incoraggiante irruenza hai iniziato come al solito a elencare tutte le cose che andavano fatte, tutti i lavori rimasti indietro e tutte le faccende che avevi in mente di sistemare nei prossimi mesi. Nulla sembrava cambiato, tanto che alla fine dell’incontro ci siamo guardati sbigottiti dicendo “questo non molla niente”.

E forse, quel tuo modo energico di rivolgerci la parola, quel tuo ultimo saluto così simile al primo è una delle cose più belle che ricorderemo di te, l’indistruttibile Paolino, che non molla mai, che non si tira indietro, che va incontro alla morte seduto a sognare nuovi orizzonti su un rombante tagliaerba verde.

Il gruppo di Rete Pictor e di Villa Angaran San Giuseppe