Dall’intervento di Tommaso Zorzi (coordinamento Pictor in Villa Angaran San Giuseppe) all’Assemblea Pensosa di Villa Sant’Ignazio, Trento, 18 novembre 2017.

Affrontare il tema della Partecipazione in un progetto disorientante e mutevole come Villa Angaran San Giuseppe è azzardato: la generatività incessante e le contaminazioni esterne che viviamo in questa fase di avvio, sconquassano e trasformano ogni metodologia o prassi rispetto al coinvolgimento e alle mansioni dei tanti attori che accompagnano questo processo. Proveremo a dare alcune suggestioni che provengono da esperienze vissute o tematiche condivise in assemblee e incontri a cui abbiamo partecipato e che ci hanno risvegliato pensieri e ragionamenti relativi ai processi partecipati.

Villa Angaran San Giuseppe e il progetto Pictor

Partiamo dal principio: cos’è oggi Villa Angaran San Giuseppe e il progetto Pictor? La scelta audace dei gesuiti di affidare un loro edificio monumentale (una villa storica del XVI secolo, di 4500 metri quadri, inserita in un grande parco verde di 4 ettari) ad una rete di imprese sociali (Adelante, Conca d’oro e Luoghi Comuni) ha avviato un processo generativo estremamente florido. Dopo quasi 3 anni potremo descriverlo, semplificando, attraverso tre temi: il luogo, la rete, l’idea.

Il luogo

Il primo tema è quello del luogo.

Art.9 costituzione. Il valore del luogo è qualcosa di particolarmente italiano: ci ricorda Salvatore Settis, nel suo trattato – architettura e democrazia – che la nostra Costituzione è la prima al mondo a dare al paesaggio e al patrimonio storico, artistico e archeologico un ruolo di primo piano nell’orizzonte dei diritti del cittadino (articolo 9). D’altronde, l’Italia è il paese con il maggior numero di beni considerati patrimonio dell’umanità dell’UNESCO: nel nostro Paese (quantomeno) siamo fortemente influenzati e condizionati dai luoghi, dalla storia, dalla bellezza. E l’esistenza del luogo “Villa Angaran San Giuseppe” è decisamente caratterizzante il nostro progetto.

Non solo spazio. “Un luogo che non è solo spazio”. Riprendiamo il pensiero del filosofo Andrea Tagliapietra che sottolinea la netta divisione tra spazi e luoghi. Gli spazi si misurano mentre i luoghi si riconoscono; i luoghi fungono da tramite per i rapporti. Gli spazi diventano luoghi quando perdono la loro identità, perché l’identità non sta più nel saperli misurare, saperli valutare, ma nel saper diventare una situazione di accoglienza: non è importante quello che siamo ma è importante quello che possiamo accogliere. La bellezza come monumento, dunque, non basta. Quando abbiamo incontrato per la prima volta “la Villa”, nel 2014, era uno spazio enorme, vuoto e silenzioso. Dimenticato come bene culturale e inutilizzato come casa di esercizi. Il percorso intrapreso è quello di avviare una lunga serie di processi di incontro e di accoglienza, prima ancora che definire il nuovo “spazio Villa”: è dalla vita disorientata, ma accompagnata, che si sta definendo il nuovo “luogo Villa”.

Il Taking Care. Taking care è il progettare per il bene comune. Il tema dell’architettura come arte sociale e strumento al servizio della collettività e del suo accesso ai beni comuni è diventato così importante nel nostro panorama nazionale, che il padiglione Italia all’ultima biennale di Venezia (2016) è stato sviluppato proprio attorno a questo tema. Lo studio veneziano TAMassociati, curatore del padiglione, sostiene a proposito che “l’architettura che guarda il sociale può agire come baluardo contro la marginalità e l’esclusione, e divenire motore di nuove visioni, potente mezzo comunicante, strumento attraverso cui le periferie dell’abitare possano rivendicare diritti, progresso, opportunità, inclusione”. Prima ancora di declinare “l’idea” del progetto Pictor – che vedremo tra poco – il nostro spazio monumentale, nel momento che è destinato al bene comune e si apre all’accoglienza attraverso una riprogettazione architettonica etica, acquisisce un senso di riconoscimento e di ridefinizione nuovo e paradossalmente chiaro: il visitatore estemporaneo non sa certo dire cosa si “faccia” in Villa, o cosa essa “sia”, ma capisco che quel luogo è “anche” per lui.

La rete

Il secondo punto è quello della rete. Non limitata all’accordo (fondamentale) tra le imprese che gestiscono la Villa, bensì una rete molto più ampia, che si indentifica nella concorrenza del concorrere. In una rete si fa concorrenza, non intesa come “io sono contro di te”, bensì “concorriamo assieme”, anche con coloro che non hanno nulla a che fare con l’inclusione sociale. Oltre alle nostre reti del no profit tradizionale, la Villa ci mette in contatto con le aziende del profit, con nuovi enti pubblici e privati, con chi magari cerca semplicemente uno spazio (per attività) e che invece trova un luogo (dove concorrere).

L’idea

Il terzo punto è l’idea della Villa nel progetto Pictor. Cosa acceda esattamente in Villa? Oltre alle casualità degli incontri e alle suggestioni dall’esterno, cosa proviamo a costruire in quel luogo? Proponiamo anche qui tre punti.

Imprese sociali. Come la villa veneta cinquecentesca si occupava del negotium, ritorna forte in Villa il tema dell’impresa e l’aspetto produttivo, che si declina attraverso tre principali imprese sociali. Il ristorante degli scarti, in cui si cerca di generare nuova qualità facendo lavorare ciò che spesso è considerato uno scarto alimentare (eccedenze, prodotti fuori standard commerciale) da ciò che spesso è considerato uno scarto “umano” (neet, persone con disabilità, immigrati, vulnerabili) in un contesto di attenzione e genuinità. Il progetto Ricevilla, prova a sviluppare un social hosting che coniughi esperienze di turismo con piccole convivenze o residenzialità ristrette di persone svantaggiate. All’esterno, il giardino animato di 4 ettari prevede un laboratorio agricolo, (dove si producono vino, olio, ortaggi, erbe aromatica) inserito in un parco per la collettività: un altro luogo, un ambiente per fare attività culturali, spettacoli, workshop, esperienze per bambini e scuole.

Inclusione. Imprese sociali che non si limitano alla filiera etica, ma che si caratterizzano per l’inclusione forte che avviene al loro interno. È caratterizzante la presenza della vulnerabilità, di persone che non hanno grandi possibilità nel mercato del lavoro ma che nel progetto Villa si rendono conto di creare un valore forte che non resta anonimo e che è destinato alla città attraverso fruitori che spesso ignorano il processo sociale e di accoglienza della Villa La ristorazione, la ricezione, i servizi di banqueting, di vendita, mettono fortemente in relazione con l’esterno chi è inserito nei nostri progetti formativi; la manutenzione del verde, la produzione agricola, i servizi di logistica sono invece situazioni maggiormente protette, ma che comunque sono inserite in processi visibilmente destinati alla fruizione esterna.

Contaminazione. Il tema permea ogni azione e attività che si sviluppa in Villa, ed è fortemente connesso al discorso sulla partecipazione. Contaminarci significa farci influenzare, cambiare i nostri standard, e lasciarci modificare il DNA. Questo perché da un lato non abbiamo la pretesa di essere così bravi da voler essere caratterizza(n)ti, dall’altro ci convince l’avvertimento di Petrarca “si muta il saggio e si riman lo stolto”, per cui la rigidità o l’essere sicuri di un binario da seguire può essere sterile e poco generativo. Il nome della nostra rete, d’altro canto, è ispirato alla Favola d’Amore di Hermann Hesse, un’opera letteraria del 1922, il cui protagonista, chiamato Pictor, trova la sua felicità e la sua capacità di star bene nel mondo, soltanto quando è continuamente capace di rigenerarsi; “quando il flusso del divenire scorre tra le sue vene”, quando da uomo è capace di diventare albero, da albero uccello, da uccello aria, acqua, luce…

La Partecipazione

Addentriamoci quindi nel tema della partecipazione, partendo dal monito di Pasquale Calemme, che sottolinea il difficile legame tra i processi di governance (come la direzione della Villa) e la governance dei processi (come la gestione della partecipazione in Pictor). La partecipazione non è qualcosa che può essere governata, che possiamo costruire, ma è qualcosa che sta nel processo; non possiamo delinearla prima e immaginarla come un obiettivo, ma all’interno della nostra quotidianità accogliamo, attendiamo, ci predisponiamo alla partecipazione. Con questa idea di fondo, proponiamo alcuni spunti provenienti dalla nostra storia in Villa, che provano a dare un’immagine colorata di ciò che intendiamo per “partecipazione”.

La partecipazione è un atto di fiducia. Questo riguarda soprattutto i soci e i volontari del nostro mondo: è importante il loro supporto a chi è in prima linea, prima ancora che la loro presenza (fisica, mentale) nei processi che avvengono in Villa. È il rendersi conto che c’è il bisogno di dare fiducia, di appoggiare, anche qualcosa che non si conosce o si capisce totalmente. C’è un aneddoto che riguarda una delle nostre assemblee, che sono formate dai soci delle cooperative (molto diverse tra loro). Un membro del CDA ha detto in un intervento in assemblea «siamo intellettuali (Adelante e Luoghi comuni) e bottegai (Conca d’Oro), siamo persone completamente diverse: gli intellettuali passano il tempo a pensare, a riflettere, ad arrovellare ragionamenti, mentre i bottegai hanno bisogno di mandare avanti la baracca». Gli “intellettuali” mettevano tutte le sedie in cerchio durante le assemblee, in modo da creare una forma che rappresentasse l’uguaglianza tra tutti quanti. Un giorno, durante un’assemblea, arrivano un po’ di bottegai in ritardo, e non ci sono più sedie in cerchio. Questi, senza tanti problemi, recuperano delle sedie e si mettono in seconda fila. Al che alcuni degli intellettuali insorgono: «Cos’è questa storia… impossibile, assolutamente no, ci allarghiamo e vi troviamo un posto». E invece, uno dei bottegai risponde: «Ma perché no? Cosa c’è di sbagliato nell’essere in seconda fila? Non è che non si sta partecipando all’assemblea, è solo che magari la posizione all’interno di questo progetto, di questo processo, non è necessariamente quello di essere in prima linea.»

Questa è una cosa ovviamente che può dare spazio a diversi interpretazioni ma che è stato un passaggio forte nel definire la partecipazione dei soci al progetto Pictor. Si può correre il rischio di “delegare” troppo e di “dare troppo potere”, ma questo è tendenzialmente limitato dal fatto che la fiducia non va data soltanto a “chi la merita”, ma viene data a tutti, dove per tutti si intende anche chi non è affidabile. Questa suggestione ci viene da Michela Marzano, che evidenzia come in un processo che vuole essere partecipativo, dobbiamo avere il coraggio di dare fiducia anche a chi probabilmente sbaglierà, sapendo che stiamo correndo un rischio, e sapendo che comunque, la forza poi dell’associazione, della cooperazione, della cooperativa, è quella di essere in grado di rispondere al risultato negativo che potrebbe verificarsi.

La partecipazione è informalità. L’informalità è qualcosa di pericoloso, da un certo punto di vista… Nell’Assemblea Nazionale CNCA 2017 a Spello, Michele Nardelli ci raccontava, rispetto alla guerra dei Balcani, che è nell’informalità della taverna che l’umore è diventato rancore e il rancore è diventato progetto politico. Però nell’informalità può anche avvenire la situazione contraria, ossia l’umore diventa ardore (entusiasmo) e l’ardore diventa progetto etico. In Villa ce ne rendiamo conto quotidianamente; pur avendo una struttura organizzata per il management del senso della Villa, (l’equipe “Fronde” coinvolge tutti i referenti dei progetti di Pictor) questa non ha la stessa forza, poi, nei sentimenti, nelle emozioni, e nemmeno nello spirito di collaborazione della Villa, di situazioni informali che si verificano spontaneamente. È successo, ad esempio, che alcuni educatori del centro diurno Le Carubine (per persone con disabilità) hanno annunciato a tutti quelli che erano in Villa «oggi facciamo i bigoli all’anatra, venite a mangiarli con noi?». Così ci siamo trovati, senza alcun preavviso, in tantissimi, a pranzo con loro: noi della direzione, stagisti svantaggiati, i lavoratori del parco, gli animatori, alcuni volontari… tutti assieme, all’interno del refettorio del centro per disabili a mangiare con gli educatori e gli ospiti. L’informalità è qualcosa di forte; d’altro canto, l’informalità è qualcosa di ingovernabile; quando abbiamo provato a costruire a tavolino delle situazioni informali abbiamo spesso fallito… Un esempio è stata la partita di calcetto tra i soci delle diverse cooperative in cui ci si sarebbe dovuti trovare per giocare a pallone e poi andare assieme a magiare e bere qualcosa. Praticamente eravamo in quattro gatti, e il dopopartita è completamente saltato. L’informalità è qualcosa di spontaneo, e quindi non possiamo pensare di realizzarla. Emerge però una domanda: è l’informalità che sviluppa la partecipazione o è nella partecipazione che si crea l’informalità? Non lo sappiamo… ma siamo convinti che il binomio sia irriducibile e che questi due aspetti siano fortemente legati tra loro.

La partecipazione come narrazione alla pari. Partiamo da una storiella, imparata sempre a Spello. C’è il diavolo e un suo amico che si trovano nel prato delle verità; stanno chiacchierando e passa di lì un uomo. Costui comincia a guardare le verità e ad un certo punto prende un pezzo del prato, se lo mette in tasca e se ne va via tornando alla sua vita. L’amico del diavolo gli chiede indispettito: «Perché non l’hai fermato? Guarda che quello ha preso un pezzo di verità» e il diavolo gli risponde: «Perché adesso posso fare qualcosa di molto più malvagio: posso fargli credere che quella che ha in tasca non sia soltanto un pezzo, ma tutta la verità». Ci piace legare questa storia al tema della narrazione, cioè narrazione di tutti perché, per quanto sia fondamentale l’ambito della comunicazione, non abbiamo la pretesa di sapere (in pochi) tutto quello che effettivamente sta accadendo in Villa. Se da un lato noi proviamo ad inviare a tutti i soci e simpatizzanti, la classica lista di attività ed eventi (la newsletter “Brezza tra le Fronde”), la narrazione di quello che è il processo che sta avvenendo in Villa emerge soprattutto da scambi alla pari. È anche per questo che abbiamo deciso di accogliere nel nostro sito web un “quaderno” che si compone delle visioni differenti di persone molto diverse tra loro che trascorrono del tempo in Villa. Nel quaderno cerchiamo di raccontare quello che accade, secondo le impressioni di chi ha partecipato, o contribuito, ad un evento o ad una giornata. Chi scrive, spesso, non sa molto di che cos’è Pictor, non conosce nei dettagli il nostro progetto, non viene dal mondo delle cooperative, ma descrive ciò che ha visto, che ha incontrato, insomma condivide il suo piccolo pezzo di verità. E quindi gli articoli sono firmati da studenti, volontari, stagisti, tirocinanti, educatori, anche bambini, mamme, turisti, passanti. Quella del quaderno è una delle “modalità” che offriamo affinché la narrazione di Pictor sia sempre alla pari… un’altra è quella delle video-interviste che pubblichiamo nel nostro canale youtube sul “cosa ti porti a casa dalla Villa”, in cui chiediamo a chi sfiora il nostro mondo di lasciarci un commento, un’impressione, un punto di vista, su quello che ha vissuto. E i canali web e social sono soltanto una parte delle narrazioni di cui siamo circondati: l’idea costante è quella di accettarle e farne tesoro.

Partecipazione nel dialogo continuo col contesto che cambia e apertura agli sconosciuti. Questa è di ispirazione gesuita (uno dei “criteri” del nuovo progetto apostolico della provincia Euro-mediterranea è “l’ascolto continuo del contesto che cambia”). Per noi questo significa coinvolgere e ascoltare l’ambiente a noi circostante, per mutare sulla base di quello che vediamo, verso dove pensiamo sia necessario andare. Una delle citazioni ricorrenti di Don Ciotti di questi giorni è di Don Tonino Bello e dice “Occorre alzare la voce quando in molti preferiscono un prudente silenzio”. Un esempio è il tema dei richiedenti asilo; noi in Villa non avevamo mai pensato di avere a che fare con i migranti, che non fanno parte né del mondo di Adelante e Luoghi Comuni né del mondo di Conca D’Oro, eppure, recentemente, in particolare sul tema dei minori stranieri non accompagnati, si è deciso di fare un passo avanti. Non esiste, oggi, nel nostro territorio un coordinamento rispetto a questa tematica e la Villa è diventata un luogo in cui trovarsi assieme a tutte le organizzazioni e gli enti interessati (in alcuni casi mai incontrati prima), per parlarne; con le conseguenze (possibili) di rigenerare il progetto Pictor in base a quello che il territorio, il contesto, ci chiede.

Non pensiamo la partecipazione come un accanimento partecipativo dei soci, né riteniamo che la loro presenza (fisica) definisca necessariamente il progetto: un aspetto fondamentale della partecipazione nel progetto Pictor è l’apertura verso gli sconosciuti, il vedere con occhi di altri e il ragionare assieme a realtà nuove. E in questo dialogo continuo la scelta è di privilegiare la conversazione, non limitandosi ad analizzare le procedure. È chiaro che esistono una miriade di passaggi amministrativi e ostacoli burocratici; l’aspetto civilistico è fondamentale, però partiamo dalla conversazione, partiamo dal parlare, dal capire e dal generare qualcosa che secondo noi effettivamente può cambiare anche il contesto: in un dialogo generativo Pictor può cambiare spinto dall’esterno (e non solo dall’interno, dall’assemblea) ma pure il contesto può lasciarsi influenzare dall’interno (e non solo dall’esterno, dal panorama nazionale). L’adesione ad un dialogo, con l’attenzione posta alla conversazione e la propensione ad essere indefinibili, è un aspetto vitale della partecipazione in Villa.

Conclusioni

Non riuscendo a definire la partecipazione, proviamo a trarre le conclusioni rispetto al tema.

Nella volontà generativa di restare indefiniti e mutevoli, la scelta del progetto Pictor è quella di favorire i processi partecipativi, anche a discapito dell’efficienza. Portare a termine con decisione la nostra idea non è la strada che ci siamo prefissi; pensiamo invece che la Villa debba essere sempre pronta a contaminarsi, con fiducia verso i tanti collaboratori, in un clima di informalità, accettando una narrazione alla pari e un’apertura agli sconosciuti e al contesto che cambia. Questa scelta, questo abbandono alla partecipazione, è riassumibile in una frase semplice e bellissima che ci ha regalato Sara, una delicata assistente sociale spagnola. «Ciò che si respira in Villa è che nessuno è nessuno, con gli altri». Dall’ ospite con disabilità, all’educatore, al coordinatore, fino alla direzione e al consiglio di amministrazione, dietro ad inquiete riflessioni e turbinosi pensieri, la nostra definizione, forza, bellezza, sta nella complessità, nell’essere in tanti differenti dentro un grande progetto libero da individualismi e attento ad ogni umanità.

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