Il 7 aprile alle cinque di pomeriggio c’era una luce da paesaggio incantato. Sembrava fatto apposta, per rendere le installazioni di Geo-grafie visive ancora più vive.

La mostra, aperta fino al 6 maggio 2018, è stata inaugurata con le parole della curatrice Flavia Casagranda, insieme alla direttrice artistica Virginia Antoranz Boronat e le artiste Arianna Sperotto e Arianna Zannoni.

La curatrice ci ha condotti alla scoperta delle opere. Il paesaggio a me noto della Villa ha assunto significati diversi, non lo conosco più nella stessa maniera.
Voglio assolutamente condividerlo con voi.

Come ci ha detto Flavia Casagranda, Fratel Venzo amava il paesaggio e amava il colore. Sono questi gli elementi su cui le due artiste si sono concentrate.

Abbiamo iniziato da un’installazione in cui l’arte si è scontrata e poi incontrata con la tecnologia. Il risultato è folgorante: Vortice è letteralmente un vortice sonoro, visivo, un panta rhei del Brenta.

La seconda opera è Anelli (la foto in copertina). Due cerchi perfetti in cui l’uomo e il religioso combaciano armonicamente. Armonico come il lavoro che c’è dietro.
Eh si, perchè questo anello sospeso lo abbiamo creato tutti insieme: c’erano persino alcuni dei ragazzi della comunità Ramaloch ad aiutarci!

Con l’installazione Polvere abbiamo scoperto il pigmento del colore. Fratel Venzo creava magie giocando con i colori del paesaggio naturale e la ricostruzione dei ricordi nella mente.

La tappa successiva è stata il Nido, dove la nascita e la morte si intrecciano nei rami.
Flavia Casagranda ci ha ricordato come il nido sia un po’ un simbolo della Villa. Protezione, cura, star vicini nella stessa casa, vivere all’aperto sono indice di un nuovo modo di fare socialità.

L’installazione più fotografata è Fili: una geometria di prospettive che si intersecano in un punto unico: l’assoluto creativo.
Flavia Casagranda ha iniziato a coinvolgere il pubblico, e la visita guidata è diventata un dialogo aperto: “Camminando su questa terra, che pensieri vi germogliano in testa?”

Impronte è stata il diletto di grandi e piccini. L’opera è il frutto della collaborazione degli ospiti del centro diurno Le Carubine, che hanno usato le mani e i piedi per modellare la terracotta.
I fili di Impronte sono uno strumento musicale disarmonico, suonato dall’albero e dal vento.

Secondo Flavia Casagrande, Dalla mia finestra è un’opera di arte concettuale che racchiude l’uomo Venzo in magistralmente. Non posso che essere d’accordo, le artiste hanno fatto un piccolo capolavoro.
La storia è questa: Fratel Venzo si interrogava spesso sul dualismo del paesaggio. Da un lato quello che si vede, naturale, reale. Dall’altro quello che si ricorda, si sogna, si immagina. Con colori e significati personali.
Venzo dipingeva guardando dalla finestra, come se per vedersi dentro dovesse guardar fuori.

Ho pensato che Venzo aveva proprio ragione: le linee del paesaggio mi hanno detto qualcosa sulle mie prospettive. La terra mi ha parlato del mio humus interiore. Ho una foto bellissima di questa opera, ma non voglio spoilerare nulla.

Eco è l’installazione che non si vede. Arianna Zannoni ci ha detto “La natura è spiritualità. Con Fuoco sembra di essere nella navata di una cattedrale”.
Ed è proprio in una navata parigina che Venzo ha trovato la conversione religiosa, osservando come la luce venisse filtrata dai colori delle vetrate gotiche.

C’è poi Riflessi, un gioco tra ciò che il vetro riflette e la riflessione della mente. Ancora una volta un’opera in cui reale e immaginario, naturale e umano, vista e cuore si fondono.

La mostra si chiude (e si riapre) con Fronde, una video installazione in cui si vedono le mani di tutti noi abitanti della Villa. Le mani creano e distruggono e, beate le mani degli artisti, quelle di Venzo e quelle di Arianna Sperotto e Arianna Zannoni hanno compiuto gesti di enorme valore per tutti noi.

Ah, che bella l’arte, che bello averla in Villa!

Alia