Cari amici e simpatizzanti di Macondo.

«E questa fredda sera di marzo, mamma, io torno. Ritorno nella casa che prima io e poi tu lasciammo.
Che lungo andare, mamma, un lungo camminare come un sogno. Sorridente, ti ritrovo come sempre e più forte di sempre, il tuo cuore senza braccia tutto a te mi stringe.
Non serve raccontarti di me e di questi anni in lontananza. Tu ben sai tutto perché da dentro di me hai visto sempre. Mi gioverebbe sapere di te e del tuo nuovo mondo … ma occorre aspettare per sapere, attendere bisogna l’altro incontro».

Sentieri
Da quanto tempo non camminiamo per strada fischiettando o non troviamo scorciatoie silenziose con un filo di erba fra le labbra e senza fretta né pretese, credendo semplicemente nel valore di essere? Da quanto tempo non benediciamo i sentieri che non ci portano da nessuna parte e che, proprio per questo, ci danno la possibilità di stare, vagare, di misurare il momento solamente con il peso e la leggerezza del nostro stesso camminare? Quando ci muoviamo da un luogo a l’altro, siamo normalmente legati ai motivi che giustificano lo spostamento. Purtroppo – lo riconosciamo – un simile viaggio è troppo corto. Esiste, però, un altro viaggio, che comincia solo quando le domande su quello che ci stiamo a fare lì smettono d’interessarci. Siamo lì, punto e basta. Non è il sapere e l’utilità che lo definiscono, ma l’essere stesso, l’espressione profonda di sé. La vera sapienza non consiste in una conoscenza previa, ma in qualcosa che si scopre abitando il cammino.

Sono passati nove mesi dal giorno in cui abbiamo ricordato, al raduno dei motociclisti, suo figlio, nel primo anniversario della morte. Michela, la mamma, sapeva che il marito mi aveva consegnato gli scritti e le foto migliori, ma una sofferenza inestricabile, nascosta a tutti, le aveva impedito di rispondere a ogni mio tentativo di contatto.

Mi aveva visto entrare, in silenzio, quasi furtivamente. Prima di abbracciarmi mi aveva fissato per alcuni istanti e parlato direttamente ai miei occhi… mi aspettava? Non lo so. Era bella, impegnata con i clienti e con i fornitori («se mi fermo un attimo, piango») e molto elegante. L’eleganza le era connaturale; direi di più, era il suo modo di essere. Chi possiede il vero “gusto” rompe ogni regola, e detta le prossime. Un’icona autentica dell’eleganza, avendo ottenuto dalla vita il dono di esserne completamente pervasa.
Siamo rimasti alcuni minuti in piedi a parlare, mentre gustavamo un tè caldo. Basta un’ora o due d’insonnia e la notte si riempie di presenze, di suoni che echeggiano voci e parole di persone entrate nella nostra vita. Alcune sono solo un fotogramma della memoria, ma negli spazi che la notte finalmente concede, si animano e parlano. Altre sono presenze intime: voci, sguardi, parole tutte che parlano d’amore.

Ecco, io sono la ragazza bionda che hai visto in moto, con il mio uomo. Non so parlarti dell’amore, ma so bene cos’è: come ricolma la vita, più della salute, più del sole. L’amore è attività, non è aspettare di essere amati. Io sono una donna che vive per credere nel amore: non il tuo o il mio, ma quel amore di cui vive il mondo. Piuttosto che fare grandi cose, il nostro amore è ricevere. Non nasce da noi, l’amore: «Anche se dessi ai poveri tutto ciò che possiedo, anche se donassi il mio corpo come martire e non avessi l’amore, non sarei nulla». Dunque, l’amore è altro, è più ancora del generoso altruismo.

Tentavo di capire e accennavo qualche risposta. È l’amore che ci fa buoni e non siamo buoni perché amiamo. Il vuoto che portiamo dentro, la nostra impotenza, non arrestano il nostro amore ma lo richiamano. Chi rinuncia all’amore per non soffrire, si inganna. È un infinito dentro uno spazio angusto, per questo ci fa gemere sotto la sua pressione. E se l’amore non esiste nel mondo, esiste nella speranza. Meglio vivere nella speranza, piuttosto che nel mondo crudele e spento dei realisti. Ci siamo lasciati, commossi. C’era il lavoro, che fa barriera a ogni sentimento. Ci siamo promessi una cena di melanzane alla parmigiana. Sono uscito confuso, con un odore acre di partenze, di ritorni e di andirivieni, di rumori antichi in un bar moderno, di lontananze vocianti, ma gioiose, come era la sua casa, piena di ricordi e adesso vuota. Queste mie parole sono la coda di un lungo silenzio. Non ci sono ragioni, c’è solo la voglia di guardare il soffitto e sentire il tempo fissato dalla memoria. Le ho detto della casa, dove ho vissuto per più di trent’anni. Adesso è vuota e ogni volta che ci vado è un colpo al cuore. Rimangono gli oggetti, muti, in attesa. La polvere che si adagia su tutto, ma la vita continua. Questa mattina mi sono accorto, mentre rincorrevo le lucertole al sole, di sentirmi inutile, piccolo, un granello di sabbia, polvere. Tante cose dobbiamo ancora dirci, raccontarci e comunicarci, come dal finestrino di un treno in partenza. Tu sei proprio così, vento che scende dal monte…

Un discorso oscuro, contorto e sofferto, per introdurre il tema della Festa nazionale di Macondo 2017 a Bassano del Grappa (Vi), e usa parole che aiutino a costruire anche sulle macerie: «Giusto è nei riguardi del bambino colui che adempie quanto gli ha promesso»

Il rapporto tra generazioni si è già spento e non si tratta di proporre una tregua, ma di costruire un’alleanza, che non c’è più, tra padri e figli, tra nonni e nipoti, dove oggi c’è solo rottura, in nome di una divinità che ha imposto nuove regole, cui ha assoggettato il mondo. In nome del cambiamento, dell’efficienza e della tecnica si ritorna a voci corrispondenti a libero mercato, libero scambio, libera circolazione di capitali, sul cui altare vengono immolati esodati, esuberi, precari, perché ci dicono che l’economia ha le sue leggi assolute. L’economia ha le sue leggi assolute.

Le nuove divinità fremono e hanno cancellato la rete di solidarietà e di responsabilità, sostituendola con il gioco d’azzardo. Hanno tolto dal vocabolario la parola fiducia, perché prevalga l’interesse particolare del più forte, dietro la massima «liberi tutti».

Macondo è nato per creare luoghi d’incontro e di relazione, non partiti. Questi ultimi sono nati in nome della diversità, e sono diventati luoghi di divisione e lotta di potere. Ora li chiamano movimenti per nascondere il fatto che sono una proprietà privata (vedi Forza Italia, Movimento Cinque Stelle).

La festa di Macondo è un luogo d’incontro tra persone che arrivano da esperienze lontane, sia dal punto di vista spaziale sia dal modo in cui la vita si esprime nel gesto quotidiano. Troppo spesso si guarda alle persone con disattenzione, con pregiudizio.

La festa è un momento di gioia e di serenità per salvare la vita di ogni donna e di ogni uomo dalla dimenticanza collettiva e quindi dall’irrilevanza umana; un esercizio all’ascolto interiore e universale, perché umano.

Giuseppe – prete.


Musica, convegno, ospiti, pranzo comunitario e molto altro. Anche quest anno Macondo festeggia e la villa si colora di mondo! Ampio parcheggio, come sempre bike friendly =)

INGRESSO GRATUITO

Per il programma completo scarica qui la locandina!